Riassunto Canti X, XI e XII Purgatorio Dante

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Canto X: Purgatorio. Prima cornice. I superbi

Per arrivare alla Prima cornice o girone i due Poeti salgono per un sentiero Stretto e ripido che impone ai due movimenti accorti e li impegna per un tempo superiore al previsto fine, faticosamente, giungono su un ripiano che da un lato sporge sul Vuoto e dall’altro è limitato dalla parete della montagna: corre come un’ampia cintura lungo tutta la montagna sempre in piano e sempre della larghezza di circa cinque metri. Non c’è nessuna anima in vista. Sulla parte più bassa della parete si vedono dei bassorilievi, ognuno dei quali rappresenta un€ storia di umiltà: anche da ciò si comprende che la cornice è quella dei superbi. Le Storie raffigurate nei rilievi hanno valore esemplare: le anime Passando davanti ad essi sono sollecitate ad una vita diversa da quella da loro condotta, e invitate alla Purificazione di storie esemplari il Medioevo fece uso frequente e a tutti i livelli di cultura: furono Presenti nelle Chiese in forma di Prediche, di affreschi, nei libri anche come miniature nei luoghi pubblici, nelle case: il credente ne traeva spunti ed occasioni per la sua edificazione morale. Esempi di ammaestramento ed invito ad una vita diversa sono Presenti in tutte le cornici del Purgatorio, alcuni sono costituiti da sequenze di episodi negativi, altri da episodi cristianamente edificanti. All’ingresso di ogni cornice Dante vede o sente esempi che celebrano la virtù antitetica al Peccato ivi Punito: all’uscita gli esempi si riferiscono al Peccato Punito nella cornice e alla sua Punizione. il primo esempio Positivo è in ogni cornice tratto dalla vita della Vergine, vista come la sintesi più alta delle virtù umane. Attraverso la meditazione e la Penitenza che gli esempi suggeriscono, le anime realizzano la condizione necessaria di purezza per salire. Gli esempi che Dante utilizza derivano da fonti classiche e testamentarie.

Il Primo rilievo contiene una rappresentazione dell’Annunciazione Maria è raffigurata con tale vivezza, che sembra le escano di bocca le parole: ecco l’ancella del Signore. L’altro rilievo contiene una scena biblica: c’è l’arca santa su un carro tirato da buoi: davanti balia Davide; il terzo rilievo è la rappresentazione della storia di Traiano che fermato da una vedova le rende giustizia. Sono rilievi simili a quelli che Dante poteva vedere nelle città del suo tempo, nei pulpiti di Siena, di Pistoia, di Pisa dei grandi scultori Andrea e Giovanni Pisano. Intanto si snoda una Processione di anime rannicchiate sotto grandi massi che incombono sui loro colli. Sono i superbi che per contrappasso Piegano la cervice che tennero alta.

Canto XI: Purgatorio. Prima cornice. I superbi: Umberto Aldobrandeschi, Oderisi da Gubbio, Provenzano Salvani

Al peccato di superbia Dante dedica parecchi canti, come fa quando volge a sua attenzione più intensa ad una forma di vita che gli pare esemplare indicativa di una situazione morale e politica che conferma la sua o le è radicalmente antitetica.

Il peccato di superbia può essere attribuito a personaggi che hanno un rilievo sociale: artisti, politici, feudatari che vogliono imporsi agli altri con forza dominatrice ed accentratrice. Superbia è la presunzione dell’artista che i compagni d’arte mortifica e svaluta. Ciò che caratterizza il superbo ma anche l’epoca nella quale egli opera e di cui è segno, è l’incapacità a riconoscere i propri limiti che opera in alcuni individui, i quali ricercando una falsa superiorità si condannano ad un effettivo isolamento, ad una completa esclusione. Al termine estremo questo mancato riconoscimento del limite finisce con lo scontrarsi con ciò che è veramente infinito ed illimitato, con Dio: perciò la superbia si risolve in una ribellione a Dio, sia che la creatura voglia essere pari a Dio come nel caso di Lucifero, sia che creda di potersi fidare delle sue forze, della sua capacità razionale: in questo caso gli sfuggirà la verità e diventerà eretico. Il superbo non riconosce che tutto è condizionato dal tempo e che l’unica eternità è quella concessa da Dio: eppure basterebbe, a guarirlo da questa cecità morale, l’esempio dei tanti che ogni giorno cadono, delle molte fortune che si infrangono, dei molti poeti ed artisti rapidamente dimenticati. Il vero cristiano riconosce i limiti che sono propri dell’uomo e umilmente chiede alla divinità l’assistenza quotidiana. Con una preghiera di invocazione alla divinità perché conceda il suo aiuto e la sua grazia, si apre il canto undicesimo ed è una preghiera recitata coralmente ad indicare che tutti nella cornice dove si purificano imparano le vie dell’amore e della reciprocità. Virgilio a questi spiriti piegati dai macigni chiede la strada per salire. Uno, cui il sasso impedisce di alzare la testa, si presenta come un Aldobrandeschi; un feudatario che aveva fondato la sua arroganza sulla forza militare, sulla nobiltà familiare: tutte cose che non solo Dio non prende in considerazione, ma che anche la civiltà comunale aveva travolto. L’anima dell’Aldobrandeschi vive in una situazione di tormentoso e drammatico sdoppiamento tra il passato ed il presente: non può ritornare al passato perché esso coincide con il mondo dell’errore, ma il rimorso glielo ripresenta perché impari a staccarsene; non può però ottenere la quiete desiderata, perché turbata dalla presenza di un passato di cui non è del tutto libera. L’altra anima con cui Dante colloquia è quella di Oderisi da Gubbio, un miniatore, che Dante conobbe: l’artista ormai conosce la l’abilità della così detta gloria umana, ha imparato a distinguere l’artista dall’opera d’arte: questa supera il tempo perché nasce da un’ispirazione divina, quello ha la durata del verde delle foglie. Ogni artista, come ogni altro uomo, deve far risalire ogni sua opera all’azione della divinità. L’ultimo personaggio (e qui affiora il terna autobiografico dell’esilio che esige, per essere sopportato, forza morale e resistenza eroica) è il senese Provenzano Salvani: tracotante, compì un gesto umile e per esso si salvò. Ed è qui la lezione morale del canto: si salvano solo coloro che conoscono le vie dell’umiltà. E si salverà anche Dante che, attraverso l’esilio, rafforzerà la sua fede morale e respingerà la tentazione presuntuosa della ragione, pagando il suo tributo di mortificazione.

Canto XII: Prima cornice. I superbi: esempi di superbia punita

Il colloquio con Oderisi è finito. Mentre Dante si avvia alla ricerca del sentiero che conduce alla cornice successiva, altri bassorilievi attraggono la sua attenzione: sono simili a quelli che in terra si scolpiscono sulle pietre sepolcrali per ricordare i morti, dei quali riporgo l’immagine. Sono esempi di superbia punita. il primo rappresenta Lucifero che precipita dal cielo; il secondo Briareo, un gigante, trafitto dalla freccia divina. Poi è il biblico Nembrot che volle costruire la torre di Babele; segue Niobe rappresentata coi suoi 14 figli morti. Altro superbo punito è Saul; vi è Aracne trasformata in ragno; poi Roboamo che trasportato sul carro, pieno di paura. Seguono altri esempi: Almeone che uccise la madre per vendicare il padre, Sennacherib, re assiro, ucciso dai figli, Ciro, il noto re persiano, Oloferne ucciso da Giuditta e infine Troia caduta per la sua tracotanza. Tutto è rappresentato con tale realismo da destare l’ammirazione degli intenditori più sottili. Intanto si è fatto giorno pieno: bisogna procedere più speditamente; i due si inerpicano attraverso un sentiero, alla cui base un angelo cancella una P dalla fronte del poeta. Dante avverte meno la fatica: si è liberato di un peccato, e il
senso di leggerezza interiore diventa anche leggerezza fisica. I segni sulla fronte ora sono sei, come può constatare il poeta che incredulo si tocca la fronte. Così attraverso il cammino e l’osservazione degli esempi di superbia il poeta vien trascrivendo in termini figurativi la sua concezione della storia. Questa è sempre operata da Dio che indica i fini all’uomo: una storia che non discenda da Dio è una serie assurda di violenza, di tracotanza insensata e rovinosa. Rovina una città, per tanti versi grande, come Troia, per la presunzione dei suoi capi, rovina una madre che insuperbisce per i suoi molti figli e mortifica l’altra che ne ha solo due, crollano i giganti, re e generali vedono troncata talvolta la loro azione da una creatura che essi ritengono priva di forza, da una donna. Il senso dell’episodio è, dunque, nell’insegnamento che viene dalle parole dell’angelo: Beati i poveri di Spirito! beati coloro che si umiliano e accettano di operare all’interno dell’ordine voluto da Dio e disprezzano le cose terrene, le quali sono transeunti ed aleatorie. Proprio per tale fragilità delle vicende umane la superbia è uno dei peccati più irrazionali.

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