Riassunto Canto II Paradiso

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Primo cielo o della luna. Le macchie lunari

Avviandosi, dopo l’introduzione, alla trattazione sistematica e alla narrazione del volo per i cieli, delle cui difficoltà anche per i molti e ardui temi teologici è consapevole, Dante si volge con un appello ai suoi lettori per renderli edotti che la nave del suo ingegno sta per attraversare un mare inesplorato: coloro che, desiderosi di ascoltare il suo canto, dotati però solo di cultura adeguata alla prima parte del viaggio lo hanno fin qui seguito, non rischino di seguirlo oltre: si troverebbero, se lo perdessero di vista, incapaci di percorrere da soli il mondo che egli ora visita. Fino alla cima del monte bastava una cultura anche non eccezionale: ora il poeta si accinge a solcare un mare non percorso prima da alcuno e a questo alto compito è assistito dalla dea della sapienza, Minerva, e dal dio della poesia, Apollo: le Muse, protettrici della scienza e della tecnica artistica, lo guidino e lo assistano. I lettori, che fin da giovani si dedicarono allo studio della filosofia e della teologia che potrebbe dirsi il pane degli angeli, possono con lui spingersi lungo la via che conduce alla contemplazione della divinità. Terminato questo appello, che non vuole dividere i lettori tra superiori ed inferiori ma solo avvertire che il viaggio per il paradiso bisogna prepararsi con profondo distacco dagli interessi limitati della terra, il poeta inizia il racconto del suo volo attraverso i cieli, lungo la scia luminosa di Beatrice. La quale guarda in alto: guarda anche Dante e d’un tratto si trovano nel primo cielo, della Luna: questa appare come un nube luminosa, densa e compatta come un diamante colpito da un raggio di sole. Nella Luna un fatto attira l’attenzione del poeta: i « segni bui «, le macchie che si vedono da terra e che alcuni credono essere il fascio di spine che Caino è condannato a portare per sempre sulle spalle dopo l’uccisione di Abele. Ne chiede a Beatrice: è vero che esse derivano dalla maggiore o minore densità della materia dei corpi celesti? La risposta è negativa: se le macchie fossero in rapporto col raro e col denso, la luna avrebbe in certi punti minore spessore, dei buchi attraverso i quali in caso di eclisse trasparirebbe la luce del sole. La ragione vera è altrove. La vita del cosmo prende la sua spinta dal Primo Mobile, il quale riceve dall’Empireo le virtù, le disposizioni che poi comunica a tutti i corpi celesti. Il cielo successivo, detto cristallino, distribuisce i principi ricevuti dal Primo Mobile alle altre stelle che a loro volta li differenziano in rapporto alla loro diversa natura e alle loro finalità: queste stelle, sette in tutto, sono, dunque, come cinghie che trasmettono l’influenza dal cielo superiore a quello inferiore. Ma le influenze dei cieli sono mosse dalle Intelligenze angeliche che operano in congiunzione con la materia dei cieli. Da questa virtù, come capacità, tendenza mista deriva la diversa luminosità dei cieli. Qui è la ragione della oscurità, e della chiarità. In altre parole: la maggiore o minore luminosità corrisponde alla maggiore o minore letizia in cui si esprime la felicità delle intelligenze celesti: non si dimentichi che nel paradiso la letizia si esprime sempre come luce.

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