Riassunto Canto XV Inferno Dante

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Cerchio VII, 3° girone. I sodomiti. Brunetto Latini.

Il tema centrale del dialogo tra Dante e Brunetto Latini è (come già nell’incontro con Ciacco e Farinata) la vita morale e politica di Firenze, e, più precisamente, la ricerca della responsabilità dell’uomo di cultura nella partecipazione alla vita della società, Il tema si estende ad una dolorosa inchiesta sull’insufficienza dell’attività politica: perché uomini di rilievo che si dedicano alla politica falliscono sul piano religioso e vanno all’inferno? Perché una società nonostante e talvolta per l’intervento di uomini per molti aspetti ragguardevoli non solo non si modifica, ma precipita in dissidi feroci? Il problema che Dante qui cerca di risolvere è lo stesso di quando si trova in presenza di grandi anime che nonostante i loro meriti, (riconosciuti da lui stesso), poi caddero nell’errore: Francesca amò con sincerità e profondità ma volse, e qui fu il suo errore, il suo amore a creatura terrena e non a Dio o a ciò che Dio benedice; Fari nata combatté con fierezza e magnanimità ma pose nell’impegno politico una passione così esclusiva che emarginò da sé Dio; Pier della Vigna non vide che l’unica e vera fedeltà si deve non all’imperatore ma alla divinità. Anche Dante stava per dare alla sua vita un avviamento del tutto mondano e conobbe il traviamento, la caduta nella selva: ora si avvia a salvezza perché colloca sé e la propria attività entro la prospettiva del divino e dell’eterno: Dio è per lui il lievito di ogni azione della vita quotidiana, anche della meno significante. In questa prospettiva non si svaluta né la serietà di Francesca né la forza di Farinata: se ne vedono i limiti e si impara che la completezza, va cercata e trovata altrove. Personaggio incompleto fu anche Brunetto Latini, l’esemplare intellettuale della civiltà comunale. Torna alla memoria di Dante una delle figure ideali dei suoi anni giovanili. Brunetto è il maestro di vita morale e di cultura, anzi di cultura come impegno sociale e comunitario, colui che lo aiutò a conoscersi e a pensare alla vita come itinerario per una società migliore. A Brunetto Dante si sentì vicino oltre che per ragioni affettive (quasi padre lo dice incontrandolo), per affinità di impostazione dei proprio compito di intellettuale operante in un Comune. Ambedue poeti e letterati; ambedue parteciparono alle vicende politiche della loro città, stimolati da propositi saggi; ambedue mal compresi ed esiliati; ambedue in lotta contro gli arrivisti; ambedue esposti alla brutale persecuzione degli avversari. Ma la valutazione dell’azione dei due e del loro fallimento non può essere quella che si fa con misura politica: su questo piano essi sono dei vincitori. L’unico metro è quello della morale. All’inferno ci sono gli affaristi, gli ecclesiastici avidi; ma c’è anche Farinata e c’è Brunetto. In quest’ultimo caso il fallimento deve essere ricercato nell’insufficienza dei loro propositi non illuminati da una finalità religiosa. Brunetto presunse di poter fondarsi sulla propria autonoma razionalità: tale presunzione di autonomia, che è anche rottura con la società, è alla base del peccato di omosessualità, quasi asserzione superba di indipendenza dalle norme umane e dalla legge divina. L’autosufficienza razionalistica diventa sul piano dei rapporti sessuali deformazione dell’amore, sodomia: che è il peccato di molti letterati ed ecclesiastici. Ammirevole, dunque, Brunetto Latini per la sua cultura, per la difesa dei valori civili, per il coraggio con cui sostenne l’esilio, per l’insegnamento letterario e retorico dato alle nuove generazioni: per questi aspetti indimenticabili egli è presentato da Dante con commossa riverenza. Quando poi si valuta la sua azione nel com’ plesso e se ne vede l’imperfezione, cioè la ricerca di indipendenza da Dio, allora non si può non riconoscere legittima (secondo i canoni medievali) la sua collocazione nell’inferno. Certo spiace che di tanto maestro si rilevi non solo la nobiltà ma anche l’infamia, il vizio. Dante, però, non si dimentichi, partiva da una convinzione di forte e rigorosa moralità: il suo proposito era di riportare gli uomini ad aderire con fermezza ai principi religiosi. Perciò valutava come peccati sia il vizio dei sensi sia la caduta intellettuale: ambedue sono da ricondurre alla stessa radice. La collocazione di tale maestro nell’inferno, quindi, non era in contraddizione con la celebrazione del suo nobile impegno per la società; ma la società deve essere in funzione della riaffermazione del carattere sacro di tutta la vita.

C’è poi da fare un’osservazione di carattere storico: compaiono in questo girone ben cinque fiorentini e tutti di buona condizione sociale. Come si spiega sì folta presenza? È una maldicenza raccolta da Dante? A questo riguardo giova la lettura di una pagina dello storico Davidsohn, autore di una pregevole e monumentale Storia dì Firenze: «Si affermava che in nessun paese, come in Italia, la pederastia veniva praticata in tale misura da ecclesiastici e da laici, e nell’Italia stessa Firenze aveva la palma, cosicché in Germania si dicevano “ Florenzer” i pederasti, ed ìl loro vizio “ fiorenzen“, vale a dire “ fiorenzare “. Fra Giordano nella sua maniera coraggiosa diceva dal pergamo che l’infamia del peccato di Sodoma e Gomorra gridava al cielo, che il numero di quelli che ne erano macchiati, era in Firenze sterminato; spesso accadeva che un padre dicesse al suo ragazzo: Va’, guadagna, vestiti e calzati. “Or che crudelitade è questa, che puzza e che sozzura è questa a udire dire? “. Un’altra volta, nel dicembre del 1305 e nel giorno degli Innocenti, predicando avanti a Santa Maria Maggiore, tornò sull’argomento: “Oh, quanti sodomiti vi sono tra i cittadini? Quasi tutti sono dediti al vizio od almeno la più parte di essi. Firenze è diventata Sodoma, e i fiorentini accrescono questo genere di peccato con l’usura, con l’odio e con gli assassini “. Anche Fazio degli Uberti, che pur tanto affetto nutriva per la patria dei suoi maggiori, la paragona a Sodoma e a Gomorra e afferma che, “quando il fiume (per l’inondazione del 1333) aveva castigato Firenze, non uno in essa era stato ritrovato giusto” ». Ancora una volta ci si accorge che le affermazioni di Dante hanno radice in una ben precisa realtà sociale ed umana.

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