Breve storia della letteratura italiana

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La letteratura italiana nasce solo nel XIII sec., in ritardo rispetto ad altre letterature europee, ma con caratteristiche di compiutezza. Il ritardo è dovuto alla forza di conservazione del latino come lingua dotta che ostacola, in Italia, l’affermarsi del volgare come lingua di cultura.

Le origini e il Medioevo

Dante Alighieri

Le prime espressioni compiute della letteratura italiana risalgono all’inizio del sec. XIII, in un contesto culturale caratterizzato dall’imponente produzione in latino (per l’attività delle università), dall’influenza delle letterature francesi e dalla vitalità linguistica della società comunale. Il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi fece tesoro della tradizione biblica mentre le opere dei poeti della Scuola siciliana, tra cui primeggia lacopo da Lentini, si ispirarono direttamente alla lirica provenzale. Dopo la morte di Federico Il 250), promotore delle arti e delle lettere nell’Italia meridionale, la produzione letteraria di maggior rilevanza nacque nell’ambito dei comuni dell’Italia centro-settentrionale. soprattutto in Toscana, ove vissero Guittone d’Arezzo e Brunetto Latini; furono centri importanti anche Milano con Bonvesin da la Riva, il Veneto con Giacomino da Verona e lo Studio padovana, e Bologna, per ‘Università, la scuola di retorica di G. Fava e la figura di G. Guinizelli. l’iniziatore di un “nuovo stile”. Lo stilnovo fiorì a Firenze a opera di giovani poeti. tra cui Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, i quali imposero il sistema simbolico stilnovista quale modello fondamentale della lirica italiana. Il percorso culturale di Dante si ampliò mirabilmente: dagli esordi stilnovisti della Vita nuova e delle Rime, attraverso il Convivio, il De Vulgari Eloquentia e la Monarchia, egli giunse alla pienezza creativa della Commedia, opera che costituisce una “summa” culturale del Medioevo e il cui alto valore poetico trasformò di fatto il volgare fiorentino nella lingua letteraria italiana. Dopo Dante due altri grandi scrittori resero illustre il sec. XIV: F. Petrarca e G. Boccaccio. Il primo, che aspirava a ottenere la gloria con le opere in latino (specialmente con il poema Africa), conseguì gli esiti poetici più alti nel Canzoniere, in cui rappresentò con raffinata armonia la propria dimensione psicologica rielaborando i simboli dello stilnovo. Il secondo, traendo spunto dalla tradizione novellistica toscana, rappresentata dal Novellino, la esaltò con la propria efficacia narrativa: nacque il Decameron, primo capolavoro della prosa italiana, al cui centro sta la vita intensa e polimorfa del mondo mercantile.

L ‘umanesimo e il Rinascimento

Pico ella Mirandola

Petrarca e Boccaccio espressero anche un nuovo interesse per la classicità, interpretata nei secoli precedenti alla luce della cultura cristiana medievale. Alla fine del sec. XIV e per tutto il successivo, gli ideali classici della virtù terrena della bellezza e del piacere, dell’uomo artefice della propria fortuna e signore della natura assunsero una straordinaria importanza per opera di intellettuali come C. Salutati, P. Bracciolini, L. Valla, L. B. Alberti, P. della Mirandola, M. Ficino e A. Poliziano. Essi diedero impulso al lavoro filologico di scoperta dei testi latini, e greci, e al loro emendamento. La diffusione di opere fino ad allora sconosciute portò a un cambiamento di gusto anche in campo linguistico, tanto che nella prima metà del sec. XV si ebbe una prevalenza del latino come lingua letteraria. Nella seconda metà del secolo tornò in auge il volgare, che venne utilizzato nelle opere più significative: le Stanze per la giostra di A. Poliziano, il Morgante di L. Pulci, l’Orlando innamorato, di M. M. Boiardo, l’Arcadia e le Rime di I. Sannazaro. La morte di Lorenzo de’ Medici (1492) e l’inizio delle invasioni straniere mutarono bruscamente il quadro politico, ma non interruppero la fioritura artistica italiana, che anzi all’inizio del sec. XVI giunse a uno dei momenti più significativi di tutta la sua storia. Tre furono le figure salienti di questi decenni: Machiavelli, che nel Principe espone la teoria dello Stato moderno e delinea il profilo dell’uomo “prudente e virtuoso” (esemplificato anche, in chiave diversa, nella Mandragola); Ariosto, creatore, nell’Orlando Furioso, di uno straordinario mondo di avventure e di fantasia, in cui è messa in risalto con lucidità e ironia la condizione di follia dell’uomo imprigionato nei propri desideri; P. Bembo, che nelle Prose della volgar lingua sancì la nascita ufficiale della lingua italiana, assumendo come tale quella di Petrarca e di Boccaccio. Oltre a questi autori ebbero rilevanza anche B. Castiglione, noto per Il cortigiano, F. Guicciardini, autore della lucida Storia d’Italia, il commediografo P. Aretino e F. Berni, poeta satirico. A. Beolco scrive commedie in pavano sulla figura del contadino Ruzante, mentre T. Folengo compone in latino maccheronico il fantasioso poema Baldus. Il ‘500 inoltre si caratterizzò per una crescente tendenza alla definizione normativa dei generi letterari, accogliendo modelli proposti dalla Poetica di Aristotele, soprattutto per il teatro, e rifacendosi a Petrarca nella lirica, In questo quadro emersero anche le poetesse V. Colonna e G. Stampa.

L’età della Contro riforma e il Seicento

Galileo Galilei

Nella seconda metà del ‘500 il clima culturale italiano cambiò a causa dello scontro che oppose la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti, col conseguente controllo ideologico esercitato dall’apparato ecclesiastico sull’attività culturale. Si diffuse un clima di incertezza e di sospetto: ne venne coinvolto anche Torquato Tasso, autore della Gerusalemme liberata, poeta dell’inquietudine, delle atmosfere cariche di mistero. Altri furono colpiti direttamente dall’inquisizione: Galilei venne costretto all’abiura (1632) delle dottrine scientifiche esposte nel Saggiatore e nel Dialogo dei massimi sistemi; T. Campanella, autore della Città del sole, fu imprigionato per trent’ anni; il filosofo G. Bruno venne arso vivo (1600). In aperto contrasto con la Chiesa di Roma è anche P. Sarpi, autore dell’Istoria del concilio tridentino. Il carattere prevalente nella letteratura del ‘600 è però un gusto per l’eccessivo, il teatrale e la ricerca di strumenti capaci di rappresentarlo: la letteratura del barocco si realizza in maniera esemplare nel poema Adone (1623), di dimensioni gigantesche e dalla trama quanto mai esile, opera di G. B. Marino, il cui credo poetico è riassunto nell’affermazione che “è del poeta il fin la meraviglia”. Attorno a Marino si raccolse un folto gruppo di imitatori, tra cui C. Achillini, Ciro di Pers, G. Artale; più defilato è A. Tassoni, autore di un riuscito poema eroicomico, La secchia rapita, mentre in dialetto napoletano scrissero G. C. Cortese e di G. B. Basile. Una poetica decisamente antibarocca fu invece espressa da G. Chiabrera e da F. Testi: rifacendosi agli esempi dei classici, specialmente di Orazio, proposero una poesia capace di esprimere aspetti psicologici raffinati tramite un lessico controllato.

Il Settecento

Vittorio Alfieri

A costoro e alla elaborazione linguistica della prosa scientifica fece riferimento l’esigenza di razionalità che si affermò alla fine del ‘600; a essa attinse l’Arcadia, fondata nel 1690 da V. Gravina, caratterizzata da uno stile lezioso, ma anche da una certa capacità di indagine psicologica. La figura più rappresentativa fu P. Metastasio, la cui opera teatrale pose il fondamento perla produzione melodrammatica del primo ‘700. Nella ricerca storica e filosofica invece svolsero una funzione importante A. Muratori e G. B. Vico. Il primo fu il fondatore della moderna storiografia su basi documentarie; il secondo espose nella Scienza nuova (1744) una filosofia della storia destinata ad aver grande peso nella cultura italiana del sec. XIX. Verso la metà del ‘700 anche in Italia si diffusero le nuove idee illuministiche, a Napoli per opera di A. Genovesi e M. Pagano, a Milano soprattutto attraverso la rivista “Il Caffè”, curata dai fratelli Verri, sulle cui pagine C. Beccaria pubblicò il saggio Dei delitti e delle pene. La cultura illuminista trovò un valido esponente in G. Panni, autore del poemetto Il Giorno, satira della nobiltà ottusamente attaccata ai suoi secolari privilegi. Anche il teatro venne investito da un rinnovamento: Goldoni a Venezia riformò la commedia in senso borghese; Alfieri rinvigorì la tragedia portando sulla scena la passione, l’odio per ogni forma di tirannide, il senso della solitudine dell’individuo.

L’Ottocento

Giacomo Leopardi

La rivoluzione francese (1789) e il dominio napoleonico cambiarono la storia d’Europa: i valori di libertà, di nazione e di popolo influenzarono le tematiche della letteratura e gli scrittori, sempre più attenti a cercare un rapporto con il pubblico. Due diverse correnti artistiche si susseguirono negli anni tra i due secoli: il neoclassicismo e il romanticismo. Il primo si fondò sul concetto che, in opposizione al disordine del mondo, l’arte è armonia, imitazione di un ideale di bellezza già compiutosi storicamente nell’arte greca. Il neoclassicismo ebbe in Italia due interpretazioni: V. Monti indicò come compito del poeta ornare il presente con i miti, le immagini, il linguaggio del passato, mentre U. Foscolo, nei cui versi si avvertono motivi della nuova sensibilità romantica, elevò la bellezza a valore perenne, ideale “illusione” capace di riscattare la bruttura del presente, nel quale il poeta si sentiva dolorosamente in esilio. Il romanticismo mosse dal presupposto dell’identità tra vita e arte; il poeta, come teorizzò G. Berchet nella Lettera semiseria, esprime i sentimenti in una forma che ne esalti l’intensità ma in una lingua riconoscibile come propria anche dal lettore. Questa concezione venne realizzata da C. Porta e A. Manzoni: il primo, usando il dialetto, rappresentò l’intensa vita di Milano, mentre il romanziere utilizzò nei Promessi sposi una lingua media comune con cui anticipò le esigenze del nascente Stato italiano. Altri scrittori romantici sono L. Di Breme, T. Grossi, N. Tommaseo, I. Nievo e G. G. Belli, che al popolo romano innalza un vero monumento letterario; a parte, solitario nella sua grandezza, G. Leopardi espresse mirabilmente un intenso sentire poetico, in sorprendente consonanza con le più alte forme del pensiero europeo, grazie a un linguaggio di sorprendente limpidezza e nuova perfezione stilistica. La conclusione del Risorgimento (1861), alle cui lotte molti letterati avevano partecipato, lasciò un senso di delusione, che si concretizzò sia nel disimpegno della “scapigliatura” che nel classicismo critico di G. Carducci, poeta-simbolo del secondo ‘800, periodo in cui si sviluppò anche la poetica verista, preannunciata dal critico e storico letterario F. De Sanctis ed espressa da autori come L. Capuana e soprattutto G. Verga, narratore, nei Malavoglia (1881), e in Mastro don Gesualdo, del dramma dei “vinti”, schiacciati da un progresso dai contorni dolorosi e contraddittori.

Il decadentismo e il Novecento

Giovanni Pascoli
Alberto Moravia

Intanto in Europa si formò una nuova sensibilità poetica sulle orme di Baudelaire e di Rimbaud, che trovò in Italia interpreti significativi in due poeti che per vie diverse diedero inizio alla poesia del ‘900: G. Pascoli, che trasformò in pregnante simbolismo le angosce profonde del proprio animo, e G. D’Annunzio, esteta portato all’esibizione, ma anche creatore e interprete del gusto di un vasto pubblico. Nello stesso arco di tempo acquistarono grande importanza la filosofia di B. Croce e la sua concezione estetica della letteratura come valore autonomo, destinata ad avere una grande influenza. All’ inizio del nuovo secolo si affermarono anche interessanti movimenti letterari: tale è la poesia crepuscolare, il cui esponente più significativo fu G. Gozzano, e tale è il futurismo, espressione più vistosa di una diffusa esigenza di ripensare la funzione e gli strumenti dell’arte in una società industriale. Questa problematica ricevette una terribile conferma dallo scoppio della prima guerra mondiale: lo comprese subito R. Serra (Esame di coscienza di un letterato, 1915) e ne trassero le conseguenze più coerenti G. Ungaretti, che in Allegria di naufragi (1919) creò un nuovo spazio poetico retto da sottili fili analogici lontani dalla struttura logico-sintattica tradizionale, L. Pirandello, che nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921) nega la stessa funzione comunicativa della parola, e Svevo, che nel romanzo La coscienza di Zeno (1923) spezza la continuità del tempo narrativo dando voce sulla pagina alle esigenze dell’inconscio. Notevoli anche gli apporti di narratori come F. Tozzi, G. Borgese e R. Bacchelli e di poeti come D. Campana, C. Rebora, C. Sbarbaro, V. Cardarelli e soprattutto U. Saba, la cui poesia, fatta di parole comuni, seppe scandagliare in profondità l’inquietudine dell’uomo del ‘900. Lo scontro politico che infiammò gli anni del dopoguerra, cui parteciparono come protagonisti P. Gobetti e A. Gramsci, si concluse con I’ instaurarsi del regime fascista. La mancanza di libertà e il prevalere di un nazionalismo autarchico resero difficili i contatti con l’Europa e l’America proprio in annidi intenso rinnovamento culturale. Ma non mancarono interessanti elaborazioni di gruppi o di scrittori singoli: E. Montale pubblicò due raccolte, Ossi di seppia (1925) e Le occasioni (1939), che segnarono la poesia italiana e favorirono la nascita della poetica dell’ermetismo, fondata sulla ricerca della parola pura, cui aderiscono S. Quasimodo, M. Luzi, L. Sinisgalli. Nell’ambito della prosa i nomi più importanti furono quelli di A. Moravia (Gli indifferenti, 1929) e di C. E. Gadda (La cognizione del dolore, 1941). La tragedia della guerra e la riconquista della libertà ebbero un ampio riscontro nella produzione letteraria: hanno rappresentato 1′ epoca del neorealismo E. Vittorini, C. Pavese, C. Levi, V. Pratolini, Elsa Morante. Nella poesia continuò a essere attiva l’influenza di Montale, mentre autori come G. Caproni, S. Penna, V. Sereni, A. Bertolucci, F. Fortini hanno cercato un linguaggio più disteso e adeguato a rappresentare nuove complessità individuali e sociali. Scrittori attenti alle trasformazioni della società e della cultura sono stati il narratore Italo Calvino, lucido sperimentatore di linguaggi e temi, e P. P. Pasolini, poeta dalla vena intensa e problematica. Nel trentennio 1960- 1990 si è assistito a una frantumazione dei modelli letterari: accanto a sperimentalismi estremi, come quello della neoavanguardia, si sono affermati autori volti a un recupero di forme espressive tradizionali, come D. Buzzati, L. Sciascia, Lalla Romano, C. Cassola e G. Bassani e scrittori che hanno ripercorso la via dialettale. La concorrenza con altre forme di comunicazione ha condizionato ampiamente le scelte del pubblico e degli autori; accanto a molti libri di breve respiro si sono imposti al grande pubblico taluni testi di grande successo e con una struttura complessa, come Il nome della rosa (1980) di Umberto Eco. Destano grande interesse le opere di poeti come M. Luzi, O. Raboni, A. Zanzotto, G. Giudici, e di prosatori come G. Manganelli e A. Tabucchi.

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