Riassunto Canto II Purgatorio Dante

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Sulla spiaggia. L’angelo nocchiero. Casella

Il rito del giunco ormai è compiuto: intorno ai due poeti, colmi gli occhi e l’animo della serenità che si stende su tutto l’orizzonte, il cielo continua a ritmare le sue trasformazioni mattinali: l’aurora ora cede alla luce solare che si fa sempre più viva. È l’inizio di una nuova giornata che però trova i due pellegrini incerti e perplessi sulla via da prendere. Catone aveva detto: il sole che ormai sorge vi indicherà la strada. Ma mentre si trovano sulla spiaggia, in parte affascinati dalla magica bellezza dell’atmosfera che per il rito compiuto può dirsi religiosa, in parte dominati dalla ricerca del nuovo cammino, giunge improvvisamente guidata da un angelo la navicella su cui viaggiano le anime destinate al purgatorio. Imbarcatesi alla foce del Tevere arrivano all’isola di mattina: il fatto simbolicamente indica che, finita la notte, superato il buio della coscienza, con l’inizio del giorno devono impegnarsi nella ascesi purificatrice. Le anime, appena sbarcate, si fermano in atteggiamento di attesa e di dubbio; sul mare intanto rapidamente trascolora la nave che fa ritorno in terra. Dalla schiera di anime si stacca una che fa segno di voler abbracciare Dante. Questi, pur non riconoscendola. tende più volte le braccia verso di lei ma inutilmente perché l’anima è immateriale. Si tratta di Casella, un musicista e cantore che era stato amico di Dante.

«Casella è il primo dei molti amici che il poeta incontrerà nel Purgatorio, la cui immagine cioè amerà qui rievocare; qui più che altrove; giacché l’affetto è per lo più soverchiato nell’inferno dalla pena di vedere gli amici in quel luogo, dal suo dovere di giudice e di maestro di virtù, e i pochi amici del Paradiso sono troppo alti, troppo lontani come dal male così anche dal piccolo bene di questa terra. Il Purgatorio invece, dove Dante è fra i suoi pari, è la cantica anche della soave amicizia: più precisamente del dolce ricordo di essa» (U. Bosco, Dante. Il Purgatorio, Torino, ERI, 1958).

Tra i due amici si svolge un dialogo sulla trama di esperienze che li legò in vita: il punto culminante ne è il canto che intona Casella sul testo di una canzone di Dante. Le anime intorno ne rimangono affascinate e si dimenticano nella musica. A questo punto, improvviso e severo sopraggiunge Catone a rimproverare la loro pigrizia e a invitarle a compiere interamente il loro dovere. Le anime si disperdono verso la montagna e lo stesso fanno i due poeti non meno solleciti.

La figura e l’episodio di Casella, pur se costituiscono il nucleo vitale del canto Il del Purgatorio, è ben lungi dall’esaurirne per intero il valore ed il significato. L’amoroso canto dell’intonatore amico sulla spiaggia del purgatorio per noi non è pensabile né adeguatamente analizzabile senza il successivo intervento di Catone, la soavità di quello non dovrebbe mai essere disgiunta dall’asprezza di questo . . . Catone è la prosopopea della coscienza morale nella pienezza della libertà raggiunta. E gli appare e scompare nei primi due canti del Purgatorio improvvisamente, misteriosamente:

“Com’io dal loro sguardo fui partito . . . vidi presso di me un veglio solo”; “ Così sparì e io sù mi levai “. Ed anche la sua improvvisa ed inattesa apparizione appena iniziato il canto di Casella è introdotta da un improvviso, secco, rapidissimo Ed ecco: “ Ed ecco il veglio onesto gridando . . . “

Catone emerge dalla logica stessa delle cose, senza bisogno di preannunzi o di appelli o invocazioni, come emergono in noi insopprimibili gli impulsi della coscienza morale, i quali non si annunziano ma sono già prima che noi ne diventiamo perfettamente consapevoli; e scompaiono e tacciono solo quando la legge della virtù e del bene abbia riassunto in noi la sua salvezza. Se questo è il significato della figura di Catone, la sua validità e la sua funzionalità poetica nell’ultima parte del Il canto del Purgatorio non possono essere disgiunte dall’oblivioso abbandono di Casella e delle anime circostanti a una legge che non è la “nuova legge “ della montagna:

“Correte al monte a spogliarvi lo scoglio / ch’esser non lascia a voi Dio manifesto “.

L’intervento della coscienza morale implica la coscienza dell’illecito se non del peccaminoso: “ che è ciò, spiriti lenti? “. Questa contrapposizione di carattere vagamente dialettico è da cogliere e da mettere in rilievo nell’analisi delle immagini di Casella e di Catone, le quali si illuminano reciprocamente e si integrano l’una e l’altra; non soltanto nel loro valore emblematico e interiore, bensì nella felicità della rappresentazione e nel concreto articolarsi dell’ispirazione poetica nell’ultima parte del canto. Isolare l’amoroso canto di Casella e parlare di fascinosa oblio nella vecchissima melodia, significa attribuire a Dante un po’ del nostro gusto e della nostra sensibilità di moderni . . . L’episodio di Casella non racchiude nel rapimento musicale tutt’intero ed autonomo il proprio significato, né lo rivela solo nella famose parole di Dante (“l’amoroso canto, / che mi solea quetar tutte mie voglie“), che quel rapimento preparano e giustificano, ma lo trae anche e vorremmo dire soprattutto dall’irrompere improvviso del solenne vegliardo, dalle sue parole di aspro rimprovero e di severa esortazione, che si riportano al costante carattere morale dell’ispirazione dantesca. All’ansia dell’assoluto, perseguito nell’oblio e nello smarrimento e nell’incertezza, fa riscontro e contrasto la coscienza, la certezza dell’assoluto; anzi l’assoluto stesso. A Casella, Catone. Casella e Catone sono come i due temi fondamentali del canto secondo del Purgatorio: quello dello stupefatto smarrimento, dell’incertezza innocente un po’ lenta e nebbiosa, e l’altro della indiscutibile ed assoluta sicurezza, della certezza salda ed infallibile» (M. Marti, Dal certo al vero, Roma, 1962).

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