Riassunto Canto III Inferno di Dante

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La porta dell’inferno. Gli ignavi. Caronte.

Dante e Virgilio sono ormai davanti alla porta dell’inferno. Una scritta ivi incisa ammonisce che non vi è speranza di salvezza per coloro che la varcano: eternamente condannati, sconteranno tra sofferenze di ogni genere le offese recate alle norme morali e religiose. Dante, sgomento, esita, ma Virgilio lo incoraggia a passare al di là della porta. La prima sensazione che il poeta prova al contatto con l’inferno è di una tumultuosa confusione: nell’oscurità profonda, si odono variamente mescolati sospiri, pianti, urla di dolore. Una folla dolorante di anime gli passa dinanzi. Dante chiede a Virgilio chi possano essere quelle anime, le prime che incontra. Sono le anime degli ignavi, gli spiega Virgilio, di coloro che in terra si astennero dal partecipare agli eventi, in particolare a quelli che impongono una scelta precisa. Dante le tratta con molta severità: gli ignavi e gli angeli che nel conflitto tra Dio e Lucifero furono neutrali, corrono miseramente dietro uno straccio d’insegna, nudi, violentemente punti da mosconi e vespe, mentre vermi repellenti succhiano il sangue che sgorga dalle punture. Tra le anime, delle quali non si fa il nome, Dante riconosce quella di colui che per viltà rifiutò il grande incarico che gli era stato affidato. Chi sia costui non si sa: i commentatori antichi credettero di individuarvi il papa Celestino V, l’unico papa della storia che abbia abdicato: se è lui, Dante intese colpirlo non solo perché non operò ma perché ritirandosi e cedendo il pontificato a Bonifacio VIII (il papa che il poeta ritenne gravissimamente responsabile della decadenza e del disordine del suo tempo) permise con la sua rinunzia che il male prevalesse. Noi non siamo questo è il concetto — responsabili solo di ciò che facciamo ma anche di ciò che astenendoci permettiamo che altri faccia. In presenza di questa prima schiera di dannati, che egli investe con parole che sembrano frustate, Dante pone, per la prima volta nel viaggio, il tema della pena: una pena che non può essere il frutto dell’arbitrio ma deve avere un preciso e concreto riferimento al peccato commesso. Il problema egli lo risolse con una soluzione applicabile a tutti i peccatori dell’inferno e del purgatorio. Per questa parte egli fece suo il concetto già biblico e poi medievale della legge del taglione: occhio per occhio ecc. Questa legge si dice del contrappasso, dal latino contro e patior, soffrire il contrario, cioè avere una pena che dovrebbe essere l’esatto contrario del peccato commesso: la pena in Dante però si adegua proporzionalmente alla colpa o per il contrario o per analogia. Le anime degli ignavi rimasero in terra in una condizione di inerzia: ora sono costrette ad una corsa frenetica ed insensata: coloro che si lasciarono travolgere dalla passione, ora sono trascinati da un turbine: e così via. È un sistema giudiziario che noi non accettiamo ma che testimonia a quali criteri morali obbediva l’uomo del Medioevo e spiega certi aspetti di ferocia e di terribilità degli uomini di quell’epoca.

La vista degli ignavi è così repellente che Dante si volge ad altro. E vede, più oltre, una folla che si addensa sulle rive dell’Acheronte, il fiume che per primo si incontra nell’inferno: i dannati attendono di essere traghettati sull’altra sponda e si accalcano stimolati da un’irrazionale volontà di precipitare nel mondo della perpetua sofferenza. Piangono tutti e bestemmiano. Poco dopo sopraggiunge una barca al cui timone è Caronte, dagli occhi di fuoco, una vera creatura diabolica, che fa salire sul traghetto le anime, colpendo col remo quelle che indugiano. Le sue parole sono intonate all’ambiente: non sperino di rivedere più la terra, di là dal fiume troveranno tenebre, caldo, gelo, pene eterne. Avvedutosi della presenza di Dante, di un vivo, Caronte lo invita ad allontanarsi: per altra via d’acqua e con altro nocchiero egli arriverà all’aldilà: il suo destino non è quello dei dannati, ma quello dei penitenti del purgatorio. Ma Virgilio con una formula rituale avverte Caronte che il viaggio è voluto da Dio: inutile perciò ogni opposizione. Ma le anime alle parole del nocchiere sono percorse da un fremito di rabbia impotente che scaricano in bestemmie contro tutti e tutto. La barca non ha ancora raggiunto l’altra sponda che già un’altra folla di anime attende il ritorno della barca. Su questa riva convergono da ogni parte del mondo tutte le anime che muoiono prive della Grazia divina. D’un tratto un tremendo terremoto scuote la regione infernale; si alza un forte vento, Dante come vinto dal sonno cade svenuto.

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