Parmenide, filosofo dell’essere

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Vive ad Elea nella prima metà del  V secolo a.C.. Forse discepolo di Senofane  (c’è chi gli attribuisce un maestro pitagorico, Aminia), Parmenide entra in contatto con i pitagorici di Pitagora — dei quali critica le teorie — e conosce anche la filosofia della scuola ionica. E autore del poema Sulla natura, di cui ci restano alcuni frammenti, relativamente ampi.

L’ontologia e l’essere

Parmenide è definito il filosofo dell’essere, in contrapposizione a Eraclito, il filosofo del divenire.

Nell’indagare la natura, scrive Parmenide, occorre distinguere tra il regno dell’opinione e dell’apparenza e quello della verità e della realtà.

Al primo regno appartiene la visione sensibile del mondo (inteso come divenire e mutamento), ma è al secondo che occorre rivolgerci per cogliere la vera essenza dell’essere. Col suo interesse per l’essere in quanto tale, Parmenide è l’inventore dell’ontologia occidentale, la scienza appunto di «ciò che è».

L’ontologia di Parmenide, in particolare, si basa su un’argomentazione di tipo deduttivo, che da premesse indubitabili (o supposte tali) deriva rigorosamente i caratteri che l’essere deve necessariamente avere.

Punto di partenza della deduzione è l’affermazione che l’essere è e il non essere non è

In altri termini, la caratteristica fondamentale dell’essere è identificata da Parmenide nell’esistenza: «l’essere è».

D’altra parte il non essere (la negazione dell’essere) non può esistere, per il principio di non contraddizione, che nega che, un’affermazione e la sua negazione possano essere entrambe vere; quindi: «il non essere non è». Da tale apparente ovvietà scaturiscono conclusioni quasi paradossali: per esempio che; l’essere è uno. Se infatti ci fossero due «esseri», essi dovrebbero essere separati da qualche cosa; ma da che cosa? Non dall’essere (che non può separare se stesso), ma nemmeno dal non essere (che non esiste): quindi è impossibile che esistano molteplici esseri.

Con argomenti analoghi si può «dimostrare» che l’essere è eterno (non può scaturire da un non essere che lo precede), illimitato (non può essere confinato da un non essere), immobile, privo di vuoto, e che — forse la cosa più sorprendente – non può esistere il mutamento (dato che esso implicherebbe il passaggio da ciò che l’essere è a ciò che non è). L’essere parmenideo è dunque ingenerato e indistruttibile, è un intero continuo nello spazio e nel tempo, inalterabile e immobile, la cui forma compiuta è «simile alla massa di una sfera ben rotonda».

Apparenza e realtà

Ma che dire dell’esperienza? Dopo tutto, essa ci mostra una molteplicità di esseri, limitati, che nascono, mutano e muoiono. La risposta di Parmenide afferma la superiorità della ragione sulla sensibilità: se la ragione ci dice una cosa e i sensi il suo opposto, allora abbandoniamo i sensi (fallaci) per il pensiero: le leggi della logica non possono sbagliare, gli occhi sì. Ciò rende Parmenide espressione di un razionalismo estremo e pone al centro della scena la distinzione (già adombrata dai Pitagorici) tra apparenza — le cose come appaiono ai sensi — e realtà — le cose quali si rivelano alla luce del pensiero.

Parmenide parte dalla riflessione sulle pure proprietà logiche di ciò che è l’essere per determinare, in termini puramente razionali, la natura profonda della realtà, la sua struttura metafisica, senza curarsi di ogni considerazione di tatto. Tale metodologia ha il merito di porre in luce la natura e il potere dell’argomentazione razionale. Procedere in termini puramente razionali significa infatti usare il puro pensiero e le leggi della logica.

Il linguaggio

Giammai poi la forza della convinzione verace concederò che dall’essere alcunché altro da lui nasca. Perciò né nascere né perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami, ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini, è o non è  […]

Una breve citazione dal poema di Parmenide, per mostrare quella che a noi appare una curiosa mescolanza di linguaggio poetico e argomentazione razionale.
Va però notato che, benché espressa in versi, la tesi dell’impossibilità che l’essere possa nascere o perire si fonda sull’impossibilità logica che una cosa sia o non sia nello stesso momento.

Ponendo al centro della riflessione il concetto di essere e il rapporto tra apparenza e realtà, la filosofia di Parmenide segna il primo e fondamentale passo per la costruzione dell’imponente edificio della metafisica occidentale.

Proprio a causa del carattere paradossale delle sue conclusioni, che negano la realtà del mutamento, Parmenide pone una sfida affascinante a tutta la filosofia successiva: mostrare come il divenire sia possibile.

A partire dagli «antichi» Democrito, Platone, e Aristotele, fino ai nostri giorni, molti si cimenteranno in questa sfida.

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